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ANIMATAZINE

ROSA MARIA LEONE

Rosa Maria Leone è laureata in Lettere e Filosofia a Napoli nel 1976 ed ha lavorato come docente a Como e a Milano.

Dopo un corso di formazione presso la scuola di Yorik e la Civica Scuola del Piccolo Teatro di Milano, decide di fare il mestiere di burattinaia ed inizia l’avventura con il Teatro Laboratorio Mangiafuoco. 

Da Milano ritorna a Napoli nel 1997 e collabora con Il teatro delle Guarattelle e la Cooperativa Xenia. 
Partecipa al Progetto per le donne di Forcella di Marina Rippa.

Attratta dal mondo rurale, sogna un’agricoltura condivisa e inizia a seguire l’azienda agricola della famiglia in Lucania.
 
Crea un ponte tra Napoli e Montemurro.
 
Collabora con l’Associazione Fondi Rustici di Napoli, con l’Associazione Bellivergari e con l’Associazione Scuola del graffito di Montemurro per creare incontri e confronti nazionali ed internazionali di arte, agricoltura e teatro.

E’ autrice del libro Rafano. Da un bene materiale a un bene di relazione.

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Radici - Pasquale di Maso - Graffito polistrato - Montemurro 2022

COME È NATO IL TUO LEGAME CON LA TERRA E CON LA PIANTA DEL RAFANO, ALLA QUALE HAI DEDICATO IL LIBRO RAFANO: DA UN BENE MATERIALE A UN BENE DI RELAZIONE?

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Da piccoli passavamo l’estate a Montemurro da maggio ad ottobre.

I nostri genitori ci tenevano a farci trascorrere delle estati impegnate, non nello studio, ma nelle botteghe degli artigiani del nostro paese.

Così i miei fratelli frequentavano la bottega del sarto, del fabbro, del falegname, ed io la campagna.

In un modo o nell’altro tutti partecipavano agli eventi della nostra cascina, curata da famiglie di agricoltori con i quali siamo cresciuti. 

Così i miei fratelli si allontanavano con le greggi e con le mandrie sulle montagne, ed io, che ero la più piccola, avevo compiti più legati alla “masseria”.

A noi ragazze toccava occuparci delle galline, degli agnelli  e dei maiali, della raccolta della frutta e dei prodotti dell’orto, della preparazione delle marmellate.

Così sono cresciuta. 

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Campagna di Montemurro

Un mondo rurale che vivevo solo d’estate al quale non appartenevo completamente: ero pur sempre una ragazzina di città, ma la terra mi entrava lo stesso nel sangue.

Crescendo mi piaceva andare nei boschi e partecipare alla scelta dei tagli.

A volte mi impuntavo per non far tagliare alcuni alberi e allora mi spiegavano che, per far crescere meglio il bosco, era necessario tagliare gli alberi in sofferenza.

Poi, piano piano, ho imparato l’importanza della cura dei boschi, del loro respiro, ed ora abbiamo dei bellissimi boschi cedui curati e in piena vita e crescita, e certo ho imparato che ogni albero, per crescere bene, ha bisogno del suo spazio vitale.

Per me è molto importante riconoscere che la mia formazione è dovuta non solo alla mia famiglia e alla scuola, ma  anche ai contadini, ai boscaioli e ai pastori che ho incontrato a Montemurro.

E soprattutto alle donne che sono entrate nella mia vita con il loro sapere e con la dedizione alla cura.

Da loro ho imparato a non sprecare niente.

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Campagna di Montemurro

Per mia grande fortuna ho avuto una madre molto libera, che amava l’arte e il suo lavoro, e che non mi ha mai voluto insegnare “le cose che fanno le donne”.
 
Piuttosto insegnava questo ai miei fratelli, che sanno fare tutto, lasciando me libera di crescere e di seguire i miei sogni.
 
Mi sono dedicata agli studi e ho potuto scegliere di fare prima l’insegnante e poi la burattinaia.
 
Credo che la mia passione sia sempre stata l’idea di “prendermi cura di qualcosa”.
 
Da quando non c’è più mia madre ho iniziato ad occuparmi della nostra azienda di famiglia.
 
Si tratta di una campagna rimasta ferma nel tempo, uguale a se stessa da tanti anni, con piccole produzioni per uso familiare come il vino e l’olio.
 
E poi c’è il grano, che a dispetto di tutto, continuiamo a coltivare, soprattutto grazie alla disponibilità di Felice Lardo, che ancora ara, semina e raccoglie.
 
Certo gli animali non ci sono più, ma a volte vengono a pascolare le greggi dei vicini. 

Il rafano è una pianta dimenticata da tutti che fa parte della mia memoria, della mia infanzia.
 
In Basilicata si usa come condimento per la pasta, ha un sapore piccante, e per fare le rafanate, delle frittate con mollica di pane, rafano e formaggio.
 
Il mio desiderio di recuperare questa pianta ha fatto sì che, per un certo periodo, siamo riusciti a coltivarla e a farla conoscere, poi la nostra impresa non è riuscita a decollare, ma quest’anno dovremmo riprendere la raccolta.

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Campagna di Montemurro

La cosa fondamentale è che da circa 20 anni sono nati altri produttori.
 
L’Università della Basilicata ha fatto ricerche e le associazioni di categoria hanno promosso corsi per promuovere la coltivazione del rafano e oggi il rafano è riconosciuto come prodotto tipico lucano.
 
Perché bene di relazione? Innanzi tutto intorno a questo prodotto per la sua rinascita sono state coinvolte molte persone.
 
Il rafano è diventato un mezzo di comunicazione anche con le istituzioni.
 
Abbiamo organizzato convegni, incontri.
 
Per me è diventato un lasciapassare per conoscere altre aziende lucane, aziende d’eccellenza, spesso autosufficienti.
 
Ho avuto modo di incontrare un mondo poco conosciuto, dall’allevamento degli asini, all’allevamento delle lumache, all’allevamento di maiali allo stato naturale, con un piccolo villaggio costruito per il loro benessere, e ovviamente le aziende del peperone crusco e dei fagioli di Sarconi. 

Piccole nicchie di produzione silenziose, che nonostante vivano in un territorio difficile come la Val d’Agri, per via dell’estrazione del petrolio, producono in modo sano e consapevole.
 
Il diario di lavoro sul rafano l’ho scritto stimolata anche dal professore di economia Pasquale Persico, che ci segue anche nell’avventura della Scuola del graffito di Montemurro.

In questo diario ho raccontato il sogno di un piccolo progetto agricolo nato, cresciuto e finito, capace però di rinnovarsi in altro. 
 

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A sin: copertina del libro Rafano, da un bene comune a un bene di relazione. Al centro: la radice del rafano. A destra: foglie di rafano.

IN QUESTA TERRA SEI RIUSCITA AD ATTIVARE UN INTERESSANTE DIALOGO TRA LA DIMENSIONE RURALE E LA DIMENSIONE ARTISTICA, PER ESEMPIO CON LA SCUOLA DEL GRAFFITO O CON IL PICCOLO TEATRO DI MONTEMURRO. DI COSA SI TRATTA?

 
Mio padre nel 2003 volle donare alla comunità di Montemurro insieme ad altri due artisti suoi amici, Mimmo Longobardi e Mariolina Amato, la conoscenza della tecnica del graffito, che a Montemurro diventa polistrato.
 
La tecnica del graffito, con le malte colorate graffiate, è una tecnica antichissima, ma mio padre nel 1961, per decorare la parete della casa di un suo amico, volle fare un graffito con 10 strati di malta colorata. 

Chiamò manodopera locale, fece costruire dal fabbro un telaio di tre metri per un metro e mezzo, chiamò esperti muratori per stendere le malte.
 
Ma la cosa più importante è che aveva individuato a Montemurro, in contrada Deserti, una sabbia del quaternario, un po’ simile ad  una polvere di marmo, che aveva già sperimentato negli anni ‘40 per realizzare affreschi, e da anni sperimentava la creazione di colori ricavati dalle varie terre della Val d’Agri.
 
Il graffito rappresentava il circo, ma al suo interno c’era la sabbia e i colori delle varie terre della Val d’Agri. Il rosso di Moliterno, l’ocre di Tramutola.  

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Il Circo - Giuseppe Antonello Leone - 1965 - Graffito polistrato, Collezione privata notaio Ricotti

ll contatto con la terra diventa reale e diventa arte. E perché il legame con il rafano? Per via della sabbia del quaternario. 
 
Il rafano cresce bene in terreni sabbiosi e così la nostra produzione ha usufruito di quei terreni sabbiosi. 
 
Arte e agricoltura si sono fusi prendendo in considerazione un territorio, vivendolo, conoscendolo. 
 
E intorno a questo siamo riusciti ad aggregare giovani, pochi forse, perché da noi, man mano che i nostri giovani crescono, sono costretti ad andare a studiare in altre città e così poi restano nelle città che li accoglie.  
 

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Ovo Matematicus - Giuseppe Antonello Leone - 2003 - Graffito polistrato, Montemurro


In ogni caso tutte le estati tornano a Montemurro, dove è nata la scuola del graffito polistrato, ed ogni estate da circa 20 anni, il paese accoglie artisti che facendo residenza qui, lasciano i loro lavori. Imparano la tecnica e realizzano dei graffiti, pannelli che poi restano in paese e lo decorano.

Tra arte e agricoltura si è creato un incontro interessante anche tramite l’organizzazione di visite guidate sia nelle campagne del rafano che nel territorio dei graffiti.

Nel 2015 il tema per realizzare i graffiti era stato “Rurale contemporaneo” e nel 2022 il tema è stato “Uomini e terra, visioni del divenire”.

Mio fratello Bruno fin dall’inizio del suo lavoro ha fatto spettacoli nell’aia in campagna, e nei vicoli del paese.

Io con le mie amiche ho fatto vari laboratori di costruzione di burattini e poi di paese in paese con il Teatro Laboratorio Mangiafuoco abbiamo rappresentato i nostri spettacoli negli anni ’80, ’90.

Abbiamo varcato la soglia di paesi sperduti sulle montagne lucane. 
 

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Le mani parlanti - Franco Silvestro - 2020- Graffito polistrato, Montemurro

Ma veniamo al Piccolo Teatro.

Nella nostra campagna, ci sono due piccoli anfiteatri naturali, parlo di anfiteatri geologici, uno più grande e l’altro più piccolo, luoghi che si prestano bene per fare spettacoli all’aperto.

Montemurro per noi di famiglia è il luogo dell’incontro, c’è da tener presente che oltre a me e a Bruno ad occuparsi di Teatro di Figura ci sono anche mio fratello Silvio, che con i suoi disegni racconta storie animate e sua moglie Giuliana Pettinari, che ha dato vita al Teatrino di Bebette, così, quando possiamo, tutte le estati ci incontriamo a Montemurro, fratelli, cognate e nipoti, visto che siamo tutti sparpagliati per il mondo e abbiamo un piccolo sogno: utilizzare questi anfiteatri per creare dei teatri all’aperto. 
 

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Zapata Contemporaneo - Gerardo del Castillo - 2015- Graffito polistrato, Montemurro


L’anno scorso in occasione dell’assemblea di primavera dell’Unima abbiamo inaugurato come Casa guarattelle il teatrino piccolo all’aperto dedicando l’evento all’Unima con i bambini di Montemurro, invitando vari amici a fare spettacoli.

C’erano Fioravante Rea, Company Aiello con Angelo Aiello e Rachel Icenogl, Associazione APS Tanto per gioco con Angelo Miraglia e Alessandra Verusio, Federica Martina, Sergio Santalucia.
 

Abbiamo piantato degli alberi di mandorlo per delimitare lo spazio del teatro, l’idea è quella di organizzare in futuro spettacoli.
 

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Piccolo Teatro all'aperto di Montemurro - Giornata Mondiale della Marionetta - UNIMA Italia 2023


In Basilicata tutti noi siamo stati a fare spettacoli con l’ABS Associazione Basilicata Spettacoli, gli anni sono trascorsi e la Basilicata è sempre una regione molto attenta agli eventi culturali ed ambientali.
 
Da parte di molte associazioni c’è il desiderio di organizzare eventi teatrali legati alla terra.
  
Quello che mi auguro è di poter portare avanti residenze di artisti per far conoscere il nostro territorio e sono molto contenta della proposta di fare la prossima Assemblea Unima a Lecce, città meravigliosa con una grande tradizione di cartapestai.
 
Credo che conoscere i territori del nostro paese sia molto importante, ogni luogo ha una piccola storia da raccontare e da condividere.
 

Giornata Mondiale della Marionetta - Montemurro, UNIMA Italia 2023

IN QUANTO TESTIMONE E PROTAGONISTA DI UN LUNGO ED INTENSO PERIODO STORICO DEL TEATRO DI FIGURA ITALIANO, IN CHE MODO VEDI OGGI IL PANORAMA PRESENTE E FUTURO DI QUEST'ARTE?


Attualmente sono fiduciosa, vedo molti gruppi di giovani che si avvicinano a quest’arte e negli ultimi tempi, dalla mia postazione napoletana di Casa guarattelle, vedo crescere un pubblico di giovani che si appassionano a questo teatro.

E’ incredibile vedere  ragazzi di venti, trent’anni seguire con passione gli spettacoli di guarattelle e alcuni di loro timidamente esprimono il desiderio di imparare l’arte del Teatro delle Guarattelle.

Questo atteggiamento mi sembra diffuso in tutta Italia e devo dire  che anche molte iniziative di Unima Italia vanno in questa direzione.

Trovo molto interessante l’opportunità offerta con il progetto di “Semenzaio” e trovo molto interessanti le newsletter  che informano tutti delle varie attività.

Mi sembra di vedere fermento, in tanti anni ho visto alti e bassi, a volte ci lamentiamo, ma per fortuna i festival continuano ad andare avanti nonostante l’indifferenza spesso delle istituzioni locali.

I burattinai, i marionettisti, i pupari sono tenaci e io mi auguro che questa forza venga trasmessa anche alle nuove generazioni, che oggettivamente devono affrontare un mondo molto diverso da quello che abbiamo vissuto noi.

Molte cose sono cambiate, dalla tecnologia alla velocità dell’informazione, vedo oggi molto Teatro ufficiale guardare al Teatro di Figura.

Le tecniche si conciliano con la comunicazione: scenografie ardite prendono spunto dal teatro di figura, linguaggi diversi dialogano, dal Teatro dell’Opera al Teatro di prosa, pupi, marionette, burattini, pupazzi, ombre sono presenti ed esprimono tutta la forza di comunicare con gli oggetti, con le immagini.

Il teatro di figura ha un grandissimo legame con il mondo dell’arte e credo che questa coscienza sia molto presente nelle nuove generazioni, che sperimentano nuovi modi di comunicazione con mezzi conosciuti, sempre moderni e contemporanei, capaci di vivere e raccontare il tempo del presente.

Le nuove compagnie spesso non nascono da famiglie d’arte, ma riconoscono i maestri, apprendono dalle generazioni precedenti e sanno dialogare con la tradizione, la sperimentazione e la tecnologia.

Si sono fiduciosa per il futuro di quest’arte del Teatro di Figura.

Video Racconto Inaugurazione Casa Garattelle - Napoli - Aprile 2019

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