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TEATRO ANIMATO
Strettoie linguistiche - di Alessandra Amicarelli
Teatro di figura o delle figure, teatro delle forme animate, teatro di immagine, teatro di animazione, teatro di marionette, teatro di burattini: a seconda dei paesi, delle regioni, delle culture teatrali, del tempo storico, il cappello sotto cui accogliere l'insieme delle svariate forme a cui questo teatro si riferisce, cambia nome.
Inafferrabile, mobile, in perpetuo mutamento: le definizioni gli vanno strette, le categorie lo soffocano, le determinazioni lo riducono.
Sappiamo come in Italia si sia giunti all'espressione comunemente e istituzionalmente ormai da tempo riconosciuta Teatro di Figura.
"Figura, come sappiamo, è la definizione che si è scelta in Italia a partire da un certo momento (La fine degli anni '70) per definire il "Nuovo" teatro di marionette"[1]
Cristina Grazioli, nel suo articolo, fa riferimento alla mostra Il Teatro di Figure fra tradizione e sperimentazione organizzata da Fiorenza Bendini a Firenze, nel 1979.
Fu questa la prima occasione pubblica in cui l'espressione Teatro di Figure fu utilizzata in modo ufficiale [2].
Nel numero ZERO di Dedalo, rivista pubblicata da Unima Italia (tre numeri usciti dal 1984 al 1986) Fiorenza Bendini ne traccia velocemente l'origine dando rilievo al senso etimologico della parola figura.
[1] Vedi articolo "La marionnette, ou la mimésis complexe & La complexité des « figures » dans le théâtre en tant que « mimesis », di Didier Plasard e Cristina Grazioli (pag. 58).
[2] Questo passaggio è citato in Antonio Attisani, «Teatri possibili », Quaderni di Teatro, (Fingere figure), 31, 1986, p. 17-37: 27.
Figura da Burattino - di Stefano Giunchi
Esce, agli inizi del 1984, Figura da Burattino, un centone ragionato degli artisti e delle compagnie italiane.
Si può considerare la fine di un lungo e appassionato dibattito e l’inizio dell’uso accreditato del termine Teatro di Figura.
Per la prima volta, in un documento pubblico, Maria Signorelli lo utilizza per presentare l’insieme dei linguaggi e delle tecniche di questa Arte.
Il termine viene subito utilizzato per nominare il Festival Arrivano dal Mare, vari Centri che fanno ricerca e cultura, il lungo lavoro per il riconoscimento istituzionale della nostra professione.
Nato e adottato dall’alleanza semiologica e semantica fra Cervia e Firenze (ispirato a compagnie e festival di lingua tedesca che già lo utilizzavano e all’attività delle nostre sue realtà produttive), diventa rapidamente di uso comune.
Il primo riconoscimento e finanziamento ministeriale nascono indicando questo lemma come riferimento dell’intera area di attività.
Il documento è una importatissima testimonianza storica.
Considerate che gli oltre 200 soggetti presentati nella "Mappa", tutti gli iscritti all'Unima Italia, i Centri Unima in tutto il mondo, più un indirizzario di curiosi/studiosi/amatori/istituzioni, ricevettero una o più copie del libro (che ebbe anche diverse presentazioni).
Fu la più grande operazione di divulgazione e promozione del TdF mai avvenuta prima (oltre ai festival che cominciavano ad affiancarsi ad "Arrivano dal Mare!".
Poco dopo cominciarono ad uscire le riviste "Dedalo" (marzo '85) e "Burattini" (aprile '85).
Che anni, care ragazze, che anni...
Dedico il pensiero all’acqua nelle sezioni di questo spazio fantastico in forma di rivista.
La forma dell’acqua, parafrasando sia il romanzo di Andrea Camilleri, sia il capolavoro cinematografico The shape of water, di Guillermo Toro.
La forma inconoscibile del fluido, la forma poliedrica assunta dall’acqua, rispetto al contenitore, l’apparenza ingannevole, forse, come nel libro di Camilleri, oppure la potente duttilità dell’amore in un sogno mitico?
Entrambe le cose.
Il fluido continuo di anni di riflessioni e parole sul mio Teatro Animato…
Un getto incessante, partito trenta anni fa.
Intuizioni, spostamenti di senso, ricerche, di me, giovane allora, che abitavo un conflitto continuo tra la parola e il segno ed anche la plasticità di opere gioiose e surreali…
Il Teatro come assurdo principio unificatore delle mie tensioni e del mio bisogno di fare, scrivere.
I campi semantici oscillavano continuamente tra due poli: lo spazio e il corpo.
Forse perché come Pessoa (mi vanto sempre di dirlo) sono nata il 13 giugno, sotto il cielo di Castore e Polluce, di due sguardi rivolti a due diversi altrove.
Il Teatro mi innamora ed entra nella mia vita, ma solo quello che chiamavamo Teatro di Figura mi sposa.
Lì il tema del corpo e dello spazio si unificano: il fare, il dire, il segno e la parola, il corpo e l’oggetto, l’essere e il non essere, le dualità irrisolte mi lasciavano così uno spazio per sognare prima ed agire dopo, o qualche volta con ordine inverso.
Ho lavorato e scritto per anni, viaggiando da sola, spesso disseminando di parole un sentiero come Pollicino e trovando talvolta che altri avevano mangiato le mie bricioline.
La dualità continua delle spinte artistiche mi ha portata a lavorare per anni sul tema della soglia, del limen, il passaggio tra uno stato e l’altro del fare artistico e tra un proporsi dell’opera d’arte e averla finita.
Il Teatro della Figura incarnava anche il limen, con carne non di carne, ma con un corpo potente.
Ho poi serrato a piene mani una parte della mia vita con una associazione, venti anni fa, con una compagnia, Specchi Sonori, incontrando tra i mei specchi la musica del mio compagno di vita Claudio Rovagna.
Sono stati spettacoli e ricerche…
Perché scrivere tutto questo? Interessa a qualcuno, dopo le emozioni del mio pubblico?
Lo scrivo per dire che tutto il mio lavoro ha la forma dell’acqua.
Scorre in uno Stige sotterraneo, tranne le emersioni felici e temporanee, insieme all’acqua di molti altri.
Negli ultimi venti anni non ho più trovato una conca dove versare il mio lavoro, dove pensare con tranquillità che esso venisse raccolto, che potesse irrorare altre strade…
Festival e Vetrine, roboanti associazioni, gruppi, simposi, confronti…
Ci sei o non ci sei, ti amano o ti cancellano, trovi il denaro o non lo trovi e il denaro nel nostro Paese è molto politico…
Per molti l’acqua di esperienze decennali cerca la sua forma.
…Non hai comunque un contenitore.
Non c’è luogo/ SPAZIO dove posare il tempo del tuo scorrimento, le gocce che hanno scavato forme in una grotta, i rivoli veloci tralasciati di possibili soluzioni, di possibili forme…
Le istituzioni dell’arte, della formazione, i luoghi dell’incontro hanno necessità di redazione, hanno urgenza anche di memoria scritta, contenitore della forma.
La nostra Arte è effimera, senza una redazione critica essa trascorre e non si replica.
L’attimo fuggente di una emozione felice in uno spettacolo, è unica alchimia di molti elementi che poi tornano a giacere in scatole di memoria.
L’opera nella nostra Arte del Teatro Animato, soprattutto, è il momento vivo, è l’occasione temporale dello spettacolo, con quelle luci e quella energia.
La memoria suggella la sua replicabilità.
Poi tutto torna fluido nella forma dell’acqua…
Molti più giovani di me si appellano al fare, come se il fare fosse distinto dal dire…
É perché taluni hanno detto soltanto e magari hanno costruito steccati di parole.
Ma questo appello è ingannevole…
L’Arte fa e pensa e dice, nello stesso momento e non ha paura del pensiero.
Il fare, o il creare (la nostra creatura, per esempio, il corpo fisico della nostra Figura) non resiste senza la forma dell’acqua: scorre via, come un fiume in piena, o come pioggia feconda, ma che infine scompare di nuovo asciugata.
Percorro questa metafora per iniziare a dire, a dare forma ad un pensiero che inseguo da tempo e che soffoca in troppi schemi: formazione, o ricerca, o creazione…
Il mio desiderio è saldare queste esperienze, ma indicare, prima di cessare di insegnare …
Indicare con convinzione che occorre un contenitore vivo e versatile perché il fluido delle esperienze possa essere visto e possa rigenerarsi.
Occorre anche una redazione, un racconto, un silenzio amorevole per essere ascoltati tutti….
Vorrei scrivere ancora di questo.
Grazie Animatazine.
Marianna de Leoni
Osimo, 4 novembre 2021
Oggi chi pratica il Teatro di Figura, professionalmente è riconosciuto sotto la voce marionettista, differenziandosi da tutti gli altri corpi delle arti sceniche.
Oggi, tutti in Italia usano l'espressione Teatro di Figura.
Però difficilmente, oggi, chi fa questo di mestiere, si definisce marionettista.
Attore, autore, performer, regista, animatore, burattinaio, ombrista, costruttore, scenografo...
Se diamo una scorta alle biografie, ai curriculum di chi pratica questa forma d'arte multipla e sfaccettata, troviamo tutte queste parole, che, prese nell'insieme, tentano ciascuna di descrivere un pezzetto dell'insieme delle competenze di cui un marionettista che pratica il Teatro di Figura oggi dà prova.
In altri paesi esiste lo stesso ricco melange di definizioni e possibilità?
I termini non sono mai completamente fissi nelle lingue vive, sopratutto quando cercano di rispecchiare le declinazioni di una forma d'arte in pieno sviluppo e mutazione.
In Francia, per esempio, attualmente c'è un campo di indagine che interroga l'attribuzione di definizioni contingenti alle specificità dei vari corpi professionali che rientrano a far parte della famiglia del théâtre de marionnette e del suo officiante principale il marionnettiste: per esempio, come chiamare, colui che costruisce le marionette, senza animarle?
Le parole non riescono a contenere la diversità di forme, pratiche, linguaggi, competenze a cui questo teatro fa riferimento.
Ci troviamo confusi e non riusciamo a riconoscerci pienamente nelle terminologie in uso.
Inevitabilmente, all'una o l'altra terminologia, sfuggiranno sempre uno o più elementi fondamentali che denotano la natura profonda della pratica, o il senso della poetica o della visione artistica che si sceglie di mettere in campo.
Personalmente, percepisco l'espressione Teatro di Figura come un'espressione limitante.
Banalmente, la categoria così data, riconosciuta negli ambiti produttivi specifici del settore, qui in Italia non riesce a far parte, se non con grande fatica, delle stagioni e programmazioni del teatro tout court.
Ci sono molte ragioni, principalmente legate a questioni economiche del sistema produttivo e distributivo italiano.
Resta il fatto che il Teatro di Figura, si ritrova escluso, spesso e volentieri, dal Teatro.
Nell'espressione Teatro di Figura c'è l'insieme maggiore TEATRO e poi il sottoinsieme FIGURA.
La FIGURA risulta una parte di un tutto, il tutto essendo il TEATRO.
Essa è collegata al tutto attraverso una preposizione di complemento di qualità, che di fatto evidenzia una distanza, una cesura dal tutto.
La preposizione DI collega escludendo: l'ampio campo del TEATRO si restringe, diminuendosi, al campo della FIGURA.
Mi chiedo: non è che per caso, nell'espressione stessa Teatro di Figura, si nasconde una profetica condanna al dover soffrire ghettizzazione ed emarginazione?
Certo non puo' essere solo una questione linguistica ad aver determinato una difficoltà di emancipazione e riconoscimento (a onestà del vero storicamente riscontrabile anche in altri periodi, prima ancora che la terminogia Teatro di Figura venisse in auge qui in Italia).
Attualmente, in Italia, questo teatro è principalmente considerato come adatto al pubblico di bambini: nel circuito del teatro per ragazzi viene obiettivamente programmato molto Teatro di Figura.
Anche questo fatto, personalmente, lo percepisco come un limite.
Questo teatro, diversamente riconosciuto e definito in altre epoche, ha raggiunto l'attenzione di scrittori, filosofi, artisti e storicamente è sempre stato un teatro dedicato al pubblico adulto.
E' stato considerato da molti visionari, come un teatro d'arte.
Mi spiace osservare come questo teatro, a partire dagli anni... '60?... '70?... '80? sia stato maggioritariamente collocato dentro nicchie, quella della tradizione (nobilissima e meravigliosa), quella del teatro ragazzi (nobilissimo e meraviglioso), da cui difficilmente ora pare difficile farlo uscire.
Mi si obietterà che in queste nicchie si aprono, per chi sa abitarle, praterie di libertà, ingegno e pensiero.
Certo, ma oggi sarebbe utile e liberatorio cercare di rivedere alcuni stereotipi e abitudini.
La forma dell'acqua - di Marianna de Leoni
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