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Tu non sei Gibarian.
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Ah, no? E chi sarei? Un tuo sogno?
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No. La loro marionetta. Solo che non lo sai.
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E tu, come fai a sapere chi sei?
Stanislaw Lem Solaris, (1961)
INTRO
Prima di tutto ci sono le ombre.
Le silhouettes antropomorfe del teatro d’ombra.
Non sono propriamente ombre, anche se vivono grazie alla luce proiettata, sono rappresentazioni di uomini e animali e raccontano storie.
In qualsiasi manuale di storia del cinema, quando si parla della nascita della settima arte, si fa riferimento a tre attività umane che ne hanno permesso la scoperta:
1 – Sicuramente la fotografia, da un punto di vista tecnico la cinepresa è un’evoluzione della macchina fotografica.
Naturalmente la pellicola e lo studio del movimento negli scatti sequenziali di Muybridge e di Marey
2 – La scienza, con lo studio della persistenza dell’immagine, ossia il difetto dell’occhio umano che immagazzina l’immagine e la fonde con la successiva.
Senza la correzione di questo difetto l’occhio non riuscirebbe a vedere fluidamente lo scorrere dei fotogrammi.
Qui vita (dal minuto 1:16 potete vedere l’effetto), un esempio visivo di quello che succede quando "l’otturatore" corregge l’errore rendendo fluida l’animazione.
Quando la struttura ruota l’occhio “mischia” le immagini ma quando un nero (in questo caso una luce stroboscopica) interrompe la “persistenza dell’immagine” nella retina ecco che l’animazione prende vita.
3 – Il teatro, genericamente come “struttura architettonica” in cui ha preso vita il cinema e nello specifico il teatro delle ombre che ha lo stesso meccanismo del cinema: una luce proietta l’immagine su uno schermo.
Parlare di marionette e cinema vuol dire tornare ai primordi, a un rapporto che non si esprime solo con l’uso o la compenetrazione di due tecniche, si tratta di un legame più stretto, quasi “genetico”.
Partendo da questo presupposto non ho cercato la presenza di marionette nel cinema ma la traccia, lo spunto, il gene che ne fa percepire la presenza anche quando non c’è.
Solaris, regia Andrej Tarkovskij